La chiave a stella
Quanto il lavoro contribuisce alla nostra libertà
di Fabiola Cinzia Limuti
In un’epoca in cui l’edonismo è imperante, potrebbero suonare anacronistiche le riflessioni del maestro Sabino Pavone alla presentazione della futura IX classe delle superiori Waldorf a Conegliano per l’anno scolastico 2018- 2019.
Come può l’uomo pensare che il lavoro possa essere qualcosa che parla di sé, che lo completa, che lo arricchisce umanamente e non solo economicamente?
Il maestro Sabino, nel parlare a una trentina di famiglie con i rispettivi figli adolescenti, portava a riflettere sul tempo che dedichiamo al lavoro, che è di gran lunga maggiore di quello che trascorriamo a fare qualsiasi altra cosa, come stare con la persona amata, eppure poniamo molta più attenzione alla scelta del partner che non alla scelta della nostra futura professione.
In un panorama economico nel quale, per le nuove generazioni, si prospetta una lunga carriera lavorativa, che probabilmente non si concluderà mai con il maturare una pensione, l’approccio al mondo del lavoro ed al suo stesso significato, non solo individuale ma sociale, si fanno quanto mai importanti.
Il maestro Sabino ha citato un libro di Primo Levi pubblicato nel 1978, intitolato La chiave a stella con il quale Levi vinse il Premio Strega nel 1979.
La vita del protagonista si svolge tra martelli, chiavi inglesi, cuscinetti, bulloni, tralicci, saldature, ponti, dighe, piattaforme petrolifere, cantieri, fabbriche, porti, contratti, appalti e collaudi.
Faussone, il protagonista, ama il proprio lavoro, attorno al quale ruota tutta la sua vita. Ed è dei lavori che ha svolto in ogni angolo del mondo, delle opere che ha contribuito a costruire, che Faussone parla facendo emergere via via la sua visione della vita.
Attraverso il lavoro, egli fa esperienza dell’altro, conosce se stesso e la realtà che lo circonda.
Tramite il lavoro il solitario Faussone si costruisce una saggezza che deriva dal misurarsi con i problemi che nascono dalla pratica, stimolando il suo spirito di osservazione e la sua intelligenza e richiedendogli spesso soluzioni originali e creative.
Il lavoro contribuisce alla costruzione dell’identità di chi lo svolge ed alla sua libertà, aumenta la fiducia in sé di chi riesce a portare a termine un compito che presenta qualche difficoltà, stimola la spinta degli esseri umani all’indipendenza e all’autonomia, alimenta il gusto della sfida.
La sincera passione per la propria professione, l’impegno perché anche il compito più trascurabile, come avvitare bulloni, sia eseguito con attenzione e massimo rigore sono alla base dell’elogio del lavoro, e della sua etica, che Levi tesse in questo bel libro.
Dare senso alla propria attività professionale, qualunque essa sia, insieme a curare il proprio senso artistico, la propria capacità di raccontarsi, significa dare senso alla propria vita.